25 novembre

25 novembre

contro la violenza sulle donne

Il 25 novembre, giorno internazionale contro la violenza sulle donne, tutti gli studenti della sede sono scesi davanti all’ingresso della scuola per manifestare. Manifestare per tutte le donne, per la rabbia che abbiamo dentro, per la paura che non vogliamo avere quando usciamo di casa la sera.
È stato un momento per ascoltare, parlare e riflettere insieme. Tra gli studenti c’è stato chi ha voluto farsi sentire con le parole, chi è rimasto in silenzio, chi tra le mani teneva un manifesto che parlava da solo, e in ogni caso ci siamo fatti sentire. Sono inoltre intervenute alcune professoresse e la dirigente, per sottolineare l’importanza dell’educazione e mostrare il loro sostegno.
Abbiamo fatto silenzio e fatto rumore, tutti uniti da un elemento rosso. Insieme abbiamo ascoltato per un’altra volta le parole simbolo di Cristina Torres-Cáceres:

“Se domani sono io, mamma,
se domani non torno, distruggi tutto.
Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.”

Infine la domanda che tutti in questi giorni ci poniamo: quante ancora?
Perché siamo stanchi di sentire e leggere parole di sangue, di donne uccise da uomini, 106 in un anno fa paura, ma non ci dovremmo stupire. Abbiamo bisogno di un cambiamento, anzi abbiamo bisogno di reagire, perché non è possibile che tutto questo succeda ancora e tutt’ora.
E poi credo sia terribile trasformare tutti i nomi di queste donne in un numero in continuo aumento, e siamo consapevoli che non si fermerà; come abbiamo potuto vedere con Giulia Cecchettin la ragazza uccisa da cui nascono tutti i movimenti che in questo momento ci circondano, ma non l’ultima vittima di femminicidio.
Questo 25 novembre non deve restare solo oggi, ma deve essere tutti i giorni.
Perché tutte le donne sono costantemente esposte al pericolo, alla paura e alle raccomandazioni, mentre l’uomo?? Ci siamo fatte coraggiose, ma vogliamo raggiungere la libertà, o almeno non vogliamo essere il frutto di un sistema patriarcale.
Vogliamo solo essere vive domani…

La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne è una ricorrenza istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite che invita i governi, le organizzazioni internazionali e le organizzazioni non governative a promuovere attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della violenza contro le donne e contrastarne il fenomeno.
In questa giornata tanto si dice e si scrive, tanto ci sarebbe da scrivere e da dire, ma ogni iniziativa resta priva di significato se dimentichiamo che ogni cambiamento, grande o piccolo che sia, dipende da noi, dai nostri comportamenti, dalle nostre scelte quotidiane.
Ogni giorno tutti noi “siamo chiamati a scegliere che tipo di persone vogliamo essere. E sarebbe bello se in questo momento di follia collettiva voi ragazzi sceglieste di fare la differenza, di essere originali, di essere gentili, affettuosi, amorevoli verso le vostre compagne e viceversa”.
E voi ragazze scegliete anzitutto “di avere rispetto di voi stesse e del vostro corpo, di non annullarvi mai, di coltivare e proteggere la vostra dignità, di non fare mai niente che sia contro la vostra volontà o il vostro sentire, di essere libere, di essere voi stesse, di mettervi sempre al centro, di non permettere mai a nessuno di convincervi che ci sia qualcosa che non va in voi, perché la vita è troppo preziosa per passarla a essere infelici e il tempo trascorso a permettere a qualcuno di ferirci non torna. E tutti noi scegliamo di avere “lo sguardo rivolto al futuro, il cuore senza desiderio di vendetta, la testa che muove i fili di una vita della quale bisogna essere protagonisti”.
Scegliamo ogni giorno di rispettare gli altri e noi stessi, i nostri limiti e i nostri pregi, le nostre debolezze e i nostri punti di forza, senza mai dimenticare che chi dice di amarci è chi sa apprezzare anche le nostre piccole e grandi fragilità e sa darci la forza per superarle.

ds. Daniela Simoncelli

Sessismo e frustrazione: una bomba ad orologeria da disinnescare con la cultura
La violenza nei confronti della donna ha assunto nel tempo molteplici forme ma, in questa sede, vorrei concentrarmi su una in particolare, quella che ha provocato la morte della giovane Giulia.
La delusione d’amore fa male, fa male a tutti, uomini e donne, però non può mai in alcun modo diventare violenza, al massimo poesia. La fine di una relazione amorosa provoca inevitabilmente una sofferenza sottile, apparentemente inconsolabile, fatta di nostalgia, rabbia, insicurezza, paura, frustrazione. Tutti questi sentimenti e stati d’animo possono alimentare la creatività, diventare canzoni, poesie, racconti, dipinti, perché l’arte è un distillato del dolore e all’arte si perdonano molte cose… Infatti l’arte, come specchio del tempo, riflette le idee, il costume, le colpe della propria epoca. Eppure va oltre e ci parla di noi.
Pensiamo a tutti i poeti – e le poetesse, sempre poco citate – che studiamo a scuola: nelle loro parole, pur con le tracce della cultura sessista del passato – riconosciamo noi stessi, alle prese con i medesimi problemi. Leopardi, ad esempio, dal rifiuto dell’affascinante Fanny, ha tratto ispirazione per scrivere cinque meravigliose poesie d’amore. Certo, poi le ha denominate Ciclo d’Aspasia, la celebre concubina di Pericle, con un riferimento colto ma poco elegante alla nobildonna che lo aveva rifiutato… Possiamo perdonare la piccola vendetta privata di Leopardi, se pensiamo che oggi, al tempo dei social, piuttosto che attraverso cinque poesie immortali, la frustrazione potrebbe trovare sfogo (come spesso accade) con insulti triviali su Instagram, indirizzati alla povera malcapitata che osi respingere o lasciare un innamorato. E questo nel migliore dei casi.
Del resto non c’è stato un momento della nostra storia in cui il sessismo non abbia caratterizzato la nostra cultura. Anche la letteratura ci dà la misura di quanto sia radicato: moltissimi romanzi, ormai classici, raccontano storie di protervia degli uomini, di vessazioni e abusi ai danni delle donne.
Quindi se questa cultura sessista c’è sempre stata, qual è la differenza, cosa sta succedendo oggi, perché così tanti uomini reagiscono violentemente quando vengono respinti? Cosa è cambiato rispetto al tempo in cui gli scrittori sfogavano nei romanzi o nelle poesie dolore e disappunto?
Forse è cambiato il nostro rapporto con i sentimenti di frustrazione. E l’incapacità di sopportare quest’ultima, sommata al sessismo, produce violenza.
Quindi, per fermare i femminicidi, dovremmo chiederci sia perché ancora oggi perduri una cultura sessista così radicata sia per quale motivo non riusciamo più a sopportare le frustrazioni rispetto al tempo di Leopardi o del Dolce stil Novo.
Dove e quando è nato l’equivoco secondo il quale sarebbe possibile vivere senza fallimenti, sofferenze e distacchi?
Lascio agli esperti rispondere a queste domande, però di sicuro posso affermare che la scuola, attraverso le arti, la filosofia, la letteratura, ci insegna a riconoscere le nostre emozioni, a ragionare sui nostri problemi esistenziali di esseri umani, a consolarci riconoscendoci nelle parole e negli interrogativi degli altri.
Ancora una volta, possiamo ribadire che la cultura ci può salvare dalla violenza e dalla discriminazione.

prof.ssa Roberta Belli

Ci sono dei momenti, in cui sembra più facile semplicemente sprofondare mentre si guarda il telegiornale. Fare finta di non sentire i commenti al riguardo. Lasciarsi prendere dalla vergogna di ripetere il proprio pensiero una volta ancora, quando nessuno sembra ascoltare, almeno non abbastanza, perché la solidarietà generale duri più di qualche mese e qualche centinaio di post su instagram, innumerevoli dibattiti consumati dietro a uno schermo, sensazionalismo in televisione, discorsi pressapochisti al tavolo a pranzo.
C’è un momento in cui si capisce che meglio non vuol dire bene, anzi, c’è un momento in cui il meglio sembra non essere mai arrivato.
Mi spiace se ti hanno detto che il tuo lutto, la tua protesta, perdono valore se non sono detti con la voce bassa, la sintassi accademica e le mani composte.
Mi spiace se ti hanno convinto che non c’è più nulla di cui lamentarti.
Mi spiace se ti hanno detto che non ne vale la pena, perché nulla cambia.
Guardati bene dall’ascoltare chi pretende la serenità nella tragedia, chi non vede già il caos.
Ti vogliono triste e in silenzio, chi beneficia della divisione delle persone, quando queste sono troppo impegnate ad accanirsi l’una con l’altra, tra specificazioni, posizioni difensive, paura di prendere posizione. Ma il silenzio non può essere risolto in silenzio, non con la voce bassa e neanche solo con le parole. Prenditela con loro.
Chi racchiude la nostra separazione, la nostra vergogna, la nostra tristezza in un’istituzione. Non chiamare mostri, merde, coglioni, malati gli individui che uccidono, che violano, loro che sono prodotti perfettamente sani e lucidi del sistema patriarcale, un sistema che divide e riduce le emozioni del genere femminile a silenzio ed isteria, e quelle del genere maschile a introversione e violenza. Loro, che ti dicono che piangere è una debolezza, che non è proficuo, negano la tua umanità, e poi compiangono lo stesso male che hanno infuso e imposto ai carnefici stessi.
Diciamo sempre loro, ma sei tu. Siete voi. Siamo noi, a sostenere quello che ci uccide, in cerca di una stabilità che abbiamo già perso da troppo tempo.
Alzare le mani, dire “ma io no”, non basta.
Non basta dire, “tanto lo sanno già tutti.”
Lunedì venti novembre, a Portogruaro, Venezia, una donna guarda con il marito il servizio su Giulia Cecchettin. Secondo le testimonianze lui disse “chissà cosa avrà fatto” rivolgendosi a Filippo, la moglie difende la ragazza, in cambio riceve un pugno al costato e un tentativo di accoltellamento.
Non saranno tutti, ma finché ce ne sono, sono troppi.
Spero che la tua rabbia non si arresti, quando il nome di Giulia, tra tutte, sparisce dalla foga dei giornali.
Spero tu capisca che non è iniziato tutto ora, che non finirà tutto domani.
Spero che tu la senta, la tristezza, come la rabbia.
Spero tu non ti sia abituato al sangue sul tg.
Spero che con questa rabbia, per la vita, per la voglia di vivere, tu continuerai a lottare con unghie e denti.

Viola Perenzoni, 5C

Questo è un discorso che vorremmo rivolgere agli uomini. Dal profondo dei nostri cuori, delle nostre anime vorremmo dirvi: SCUSATECI
Sì, vi chiediamo scusa.
Vogliamo chiedere scusa per essere belle. Le belle donne fanno sentire i propri uomini a disagio, insicuri, timorosi… Avete paura di non esserci alla pari, di fare una brutta figura al nostro fianco. Per questo ci sfigurate o ci costringete a stare in casa, è comprensibile.
Vogliamo chiedere scusa per volerci vestire bene, essere attraenti. Questo vi eccita, e fate fatica a controllarvi, è naturale, nulla di sbagliato. Gli uomini sono da sempre dei predatori, non possono essere incolpati. Se ci fischiate per strada, ci toccate senza il nostro permesso, se ci stuprate, non ci dobbiamo sorprendere, è comprensibile.
Vogliamo chiedere scusa per essere intelligenti. Di avere un’opinione propria, propri piani e speranze per il futuro. Questo vi fa sentire sul punto di perdere il controllo, di non riuscire a tenerci nei limiti. Per questo cercate di imporre sempre le vostre decisioni, di convincerci che siamo più stupide di voi, incapaci, irragionevoli ed illogiche, ci togliete la nostra autostima, è comprensibile.
Vogliamo chiedere scusa di essere vulnerabili, fisicamente fragili. Vedete, la natura ci ha create così per poter dare vita ai figli, nutrirli e coccolarli. Se ci picchiate, non siamo in grado di reagire nello stesso modo, il chè vi fa sentire in colpa e a disagio, così ce ne date ancora, è comprensibile.
Vogliamo chiedere scusa di essere fiduciose, di darvi una seconda chance, e una terza… e una quarta… Vedete, noi vi amiamo, per questo ci fidiamo di voi. Non vogliamo perdere la speranza che possiate cambiare, migliorare, imparare dai vostri errori. Questo vi dà l’impressione che siamo stupide, malleabili, e ne approfittate, è comprensibile.
Vogliamo chiedere scusa di voler essere indipendenti, far carriera, guadagnarci i nostri soldi. Il nostro ruolo stabilito da millenni è di tenere la casa pulita, cucinare i pasti per voi e crescere i vostri figli. Vi arrabbiate con noi, è certamente comprensibile.
Scusateci di volere comprensione, protezione, affetto, pazienza, ma soprattutto rispetto. Capiamo che è pretendere troppo.

Laura Oltramari, 4B

Oggi siamo qui per dare voce alla nostra rabbia, siamo qui per denunciare questo sistema patriarcale perché a noi non basta un minuto di silenzio, non basta un’ora di lezione…
Per combattere la violenza di genere serve l’educazione sessuale affettiva e di consenso nelle scuole. Serve consapevolezza.
Non me ne frega un nulla se dite “non tutti gli uomini” o “esiste anche la violenza donna contro uomo”, perchè è ovvio che possa essere così, ma è sempre un uomo che uccide, ed è un uomo sempre il più forte.
Ogni 3 giorni una sorella muore a causa di un uomo perché è troppo difficile lasciarla libera di essere; siamo arrivati a 106 femminicidi e l’anno non è ancora concluso.
Oggi ci siamo riuniti per non dimenticare, né oggi né domani né mai e grideremo per tutte le nostre donne. Grazie

Yu Elisa Li, 3D

Facciamoci sentire! Silenzio e rumore per non dimenticare… per cambiare!
Alcune ragazze di 2B hanno letto le parole di Cristina Torres Càceres: è così che si è aperto
il flash mob curato dalla prof.ssa Fabiana Caione, che si è svolto il 24 novembre nel cortile
della succursale, in previsione del 25 novembre.
L’iniziativa, che ha coinvolto tutte le classi del biennio con i loro insegnanti, ha unito gli
studenti e le studentesse in un momento di riflessione e di rumore, a partire dai tragici eventi
che hanno coinvolto Giulia Cecchettin.
È stato un momento di riflessione sulle note dì Behind the Wall di Tracy Chapman e de La
cattiva educazione di Vinicio Capossela, concluso da Off my face dei Maneskin.
Gli studenti hanno potuto riflettere sui vari volti della violenza, che si può nascondere
“behind the wall”, dietro le mura di casa, che lungi dall’essere luogo di protezione diventano
il luogo dell’invasore e teatro delle violenze che possono portare ad un’escalation dal finale
annunciato. In Off my face l’amore assume i contorni di una dipendenza della quale non si
riesce a fare a meno e che diventa una prigione che fa male.
All’evento, hanno collaborato anche la prof.ssa Vanzetta e prof. Lazzizzera, ha partecipato
anche la Dirigente del Liceo delle arti, che ha condiviso un messaggio ed un auspicio di
rispetto reciproco.
Le studentesse e gli studenti del Depero, durante l’ascolto delle canzoni, hanno creato – in
gruppo, in coppia e/o individualmente – degli slogan, dei testi di riflessione, di denuncia, dei
disegni che hanno condiviso con gli altri e hanno infine sollevato tutti insieme e urlato –
seguendo l’invito della sorella di Giulia – in un minuto di caos in cui hanno fatto sentire forte
le loro voci, unite con un’unica intenzione… Facciamo rumore … per cambiare una realtà
che non ci piace, che fa paura, che non vogliamo!
Facciamo rumore e continuiamo a farlo perché davvero la situazione possa cambiare ed il
femminicidio e la violenza in genere possano appartenere solo al passato.

prof.ssa Todaro

Succursale Liceo Depero - 24/11/2023
Chiudi