Il buio fuori dalla locanda
Raccontare le immagini Di solito sono i testi letterari a fornire ispirazione agli artisti per le loro opere visive, ma che succede quando il percorso è inverso? “Dimmi cosa vedi”, questo l’invito rivolto agli studenti delle attuali classi quarte B e C dalla prof.ssa Roberta Belli: ne sono nati racconti intensi, originali, talvolta sorprendenti, spesso espressivi della particolarissima condizione sociale ed esistenziale in cui sono stati scritti, ossia l’emergenza sanitaria, con la sua solitudine e i suoi drammi. Il buio fuori dalla locanda Un racconto di Chiara Cia, classe 3C 2020/21Ispirato all’opera Automat, Edward Hopper, 1927 “Buona sera signora, cosa le porto?”“Mi porti un caffè lungo, niente zucchero gentilmente”“Ma certo, nient’altro?”“Solo il caffè grazie”Il locandiere annuì, e io mi sedetti sulla prima sedia che vidi di fronte a me posando la borsetta al mio fianco. La locanda era vuota e molto silenziosa, il che contrastava con la mia impressione di essere di corsa, di dovermi sbrigare. Mi sembrava come se fossi incredibilmente in ritardo per qualcosa di importante, ma non ne ricordavo il motivo. Tamburellavo impazientemente le dita sul tavolo, cercando di ricordare, quando il proprietario della locanda raggiunse il mio tavolo con una tazzina in mano. Quell’uomo così massiccio, alto e largo nella stessa misura, sembrava potesse disintegrare la minuscola tazzina solamente con una leggera pressione delle dita. Eppure aveva il volto più gentile che avessi mai visto, somigliava a un bambino cresciuto troppo in fretta. Mi sorrise e le sue grosse guance si alzarono fino a coprirgli gli occhi, posò la tazzina di fronte a me e tornò al bancone a pulire bicchieri e tazzine. Lo guardai allontanarsi nella sua strana camminata colossale e mi chiesi come facesse a non urtare i tavolini tra cui si faceva largo. Inoltre sembrava un uomo piuttosto felice, con quell’aria da strano orso enorme, e non sembrava affatto stanco nonostante fosse tarda sera. Mi resi conto che non avevo idea di che ore fossero. Fuori era buio pesto, mi voltai e osservai la grande vetrata dietro di me che dava sull’esterno e non vidi nient’altro che l’oscurità e il riflesso dei lampadari della locanda. Estrassi dalla tasca il mio orologio e scoprii che la lancetta dei secondi era ferma. L’orologio aveva smesso di funzionare. Era un peccato, mi era stato donato da una persona importante. Però non aveva più importanza ormai, spostai l’attenzione altrove per non farmi prendere dai ricordi, meglio scoprire che ore erano. Ispezionai i muri, non c’era un orologio da nessuna parte, ma grazie a un movimento del polso del locandiere, dovuto allo spostamento di un bicchiere sporco, notai che portava un piccolo orologio luccicante.“Mi scusi, mi sa dire che ore sono?” domandai all’uomo che lentamente posò il bicchiere, si voltò e mi sorrise. Portò il polso davanti al grasso viso arrossato e fissò l’orologio per alcuni secondi.“Mi dispiace, il mio orologio non funziona,”disse accarezzando delicatamente la superficie dell’oggetto e riponendo la mano nel lavabo per pescare un altro bicchiere da pulire, “si è bloccato diversi anni fa, lo porto per ricordo.”“E come fa a sapere che ore sono scusi?” chiesi visibilmente spazientita. Com’era possibile che in un locale non vi fosse nemmeno un orologio?“Non so mai che ore sono” rispose senza alzare gli occhi dal lavabo ma sempre sorridendo giocosamente.“Allora mi dica come fa a sapere quando finisce il suo turno” dissi alquanto confusa. L’uomo si mise a ridere, sembravano colpi di tosse piuttosto che risate in realtà, colpi di tosse ritmati in modo da formare una risata.“Il mio turno non finisce, gentile signora, non inizia e non finisce” disse una volta interrotta la strana risata.“Ma certo, vorrebbe farmi credere che si trova in questa tavola calda da sempre e che non ha una casa?” domandai con tono di scherno.“Sì, signora, è esattamente come ha detto lei” rispose contrariamente a come mi aspettassi. Io stavo scherzando, era ovvio che questo enorme uomo non vivesse in quella misera tavola calda. “O meglio, non sono qua da sempre, diciamo che quando terminai di vivere la mia vita venni qua e da allora non me ne sono mai più andato.” Concluse la frase con un ampio sorriso gentile. Capii che stava scherzando, mi stava prendendo in giro, ma non ero in vena di ridere quel giorno, avevo ancora quella sensazione di essere in ritardo che mi turbava. Così raccolsi la borsetta ed estrassi qualche spicciolo che lasciai sul tavolo a fianco al caffè ormai freddo che non avevo bevuto, dopodiché mi alzai e feci per aprire la porta.“Arrivederci signora” esclamò il locandiere, non mi voltai ma non ne avevo bisogno per immaginare l’espressione insolitamente allegra. Aprii la porta e una volta fuori non vidi niente. Completamente buio, non c’erano le luci della città o automobili o lampioni. Ma non era nemmeno il solito buio della notte, non c’erano stelle, non c’era la luna, solo una innaturale oscurità che sembrava volesse agguantarmi. Portai le mani davanti al viso, non le potevo vedere. Un forte vento mi scosse i capelli e il cappello volò via. Sembrava spingermi verso l’oscurità e aumentava sempre di più fino a quando mi iniziò a spostare, sentivo sotto le mie scarpe la terra che rimaneva dov’era e io che inesorabilmente avanzavo senza potermi fermare. Una paura immane mi travolse, non sapevo cosa stesse succedendo ma sapevo che dovevo tornare immediatamente nella tavola calda, così mi voltai nella direzione che speravo fosse quella che mi avrebbe portata al sicuro. Con enorme fatica mossi il primo passo e poi il secondo e poi il terzo. Lentamente stavo riuscendo a tornare indietro. In lontananza vidi una luce e mentre mi avvicinavo si faceva sempre più chiara la figura della locanda. Mi aggrappai alla maniglia e spalancai la porta. Il rumore del vento cessò immediatamente e venni travolta dalla luce dei lampadari. Mi fissai le mani e vidi che l’oscurità in cui mi ero ritrovata era talmente densa che ancora ne ero ricoperta. Sembrava del fumo, così, ancora spaventata e scossa iniziai ad agitare le braccia e a colpirmi il…